Essere e pensiero

Ha scritto Berkeley: «Certe verità sono così immediate, così ovvie per la mente che basta aprire gli occhi per vederle. Tra queste credo sia anche l’importante verità che tutto l’ordine dei cieli e tutte le cose che riempiono la terra, che insomma tutti i corpi che formano l’enorme impalcatura dell’universo non hanno alcuna sussistenza senza una mente, e il loro esse consiste nel venir percepiti o conosciuti» (Trattato sui principi della conoscenza umana, § 6).

Con la morte atea, cioè secondo la concezione atea, dell’individuo non resta nulla, e proprio per questo, se la premessa di Barkeley è giusta (lui che tuttavia era un vescovo anglicano), non resta nulla di ogni cosa. Se tutto dipende dal soggetto, ovvero da me, col mio diventare buio, si rabbuia tutto. Fine di tutto. Il Nulla ritorna a vincere.

Sembra un’opinione pazzesca e che sovrastima l’io in maniera esagerata. La nostra esperienza di decessi e del corispettivo prolungamento del mondo, nonostante la loro dipartita, sembra contraddire l’assunto idealista. Tuttavia non si scappa, la percezione dei decessi e della continuazione del mondo sono ancora all’interno del proprio io, sono esperienze mediate dalla creazione del proprio centro creativo. Chiudiamo gli occhi e tutto diventa buio. Analogamente, con la morte la notte ontologica sembra invadere ogni cosa sul campo in cui si gioca la realtà e lo stesso campo di gioco.

Penso che l’esperienza di continuità della realtà, nonostante la morte di una persona conosciuta, sia vera e corretta. In fondo credo di essere “realista”. E però l’insidia dell’idea che fa dipendere tutto dal filtro dell’io ha qualcosa di vero. Davvero sembra che essere e pensiero siano dipendenti. Mancando uno svanisce l’altro. Come può allora rimanere essere e realtà svanendo il pensiero di un individuo, meglio, di me? Risposta: ammettendo che il mio io non sia l’unico pensiero. O nel senso che esso permane dopo la morte, continuando ad autoporsi e così a produrre l’essere; oppure che ci sia un Pensiero che unisce in Sè l’Essere e che produce ogni essere, fondando anche la continuità del mondo dopo la morte dei vari io e, forse, la permanenza degli stessi io dopo la loro morte. Mi sembra più corretta la seconda intuizione, che possiamo chiamare Dio.

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